La medicina cinese e lo sport
Introduzione
La pratica dello sport evidenzia, come altri aspetti della vita e della cultura, la differenza esistente tra il mondo orientale e quello occidentale.
Lo sport è nato dal desiderio di esprimere aspirazioni diverse dell’uomo:
– manifestare al più alto grado le potenzialità fisiche del nostro organismo;
– esaltare la bellezza e la grazia dei movimenti;
– soddisfare un desiderio di salute, cioè vivere “bene” e vivere “a lungo”.
L’occidente ha da sempre sottolineato soprattutto la prima di queste aspirazioni e, pur non dimenticando le altre, ha generato delle discipline sportive che privilegiano l’aspetto” fisico”.
In occidente lo sport presenta una natura eminentemente agonistica e tesa al raggiungimento del miglior risultato, del miglior tempo, della migliore prestazione.
Il fine dell’attività sportiva spesso si identifica con la vittoria della competizione e con l’acquisizione di una specie di primato oggettivo che è motivo di soddisfazione individuale e di promozione sociale.
L’estremo oriente ha dedicato più attenzione all’aspetto “salutare” del movimento e di conseguenza ha inventato delle discipline che tendono a questo particolare fine: il mantenimento della salute intesa come benessere “psico-fisico”.
La pratica degli sport in estremo oriente sembra destinata al riequilibrio dell’organismo e al fine dell’acquisizione di un primato primariamente soggettivo. Si tratta di una competizione dell’uomo con se stesso al fine di raggiungere un miglior controllo dell’integrità e potenzialità del proprio organismo.
Sia la cultura occidentale che quella orientale hanno espresso attraverso la danza l’esaltazione della grazia e della bellezza del movimento.
La danza è una sintesi tra la disciplina sportiva ed il fenomeno artistico, si avvale della musica, dei costumi, della scenografia, “vere e proprie arti”, per esprimere, attraverso il movimento, la sensibilità e la creatività dell’uomo.
È ovvio che quando si confrontano due mondi, come stiamo facendo, si tenda a cogliere più le reciproche differenze che non le affinità.
Lo scopo del nostro ragionamento non vuol comunque essere quello di privilegiare la concezione orientale a scapito di quella occidentale; ci sembra invece utile evidenziare gli aspetti migliori e specifici di entrambe ed ovviamente anche i rispettivi limiti. Solo in questa maniera è possibile muoversi verso quell’integrazione del meglio delle due concezioni; il fine verso cui vogliamo indirizzare il nostro interesse.
Esasperando i termini delle differenze tra le due concezioni si potrebbe affermare che lo sport occidentale si fonda maggiormente sul confronto agonistico delle prestazioni di più sportivi; quello orientale è un confronto interno all’individuo stesso, nel tentativo del raggiungimento di un equilibrio migliore o a più alto livello.
Gli sports occidentali sembrano nascere da uno spirito agonistico e la loro pratica sfocia, quasi naturalmente, nel tentativo di migliorare il risultato ottenuto in precedenza.
Basta pensare alle varie discipline dell’atletica per rendersi conto che, fin dal periodo ellenico in cui nacquero, l’origine ed il fine di queste pratiche ginniche riposa nel momento della gara. La lotta greco-romana ed il pugilato sono un altro antico ed interessante esempio di agonismo, di lotta che spesso si risolve, nonostante l’attuale rigida regolamentazione, in una evidente dimostrazione fisica della superiorità sull’avversario.
Gli sports orientali hanno un’origine diversa anche se, col tempo e soprattutto con la loro diffusione nel mondo occidentale, sono stati trasformati in generi agonistici.
Le arti marziali orientali sono nate da un’esigenza difensiva o offensiva, così come quelle occidentali; si fondano però sull’idea che la vittoria consista semplicemente nel dimostrare all’avversario la propria superiorità, ad esempio immobilizzandolo.
Inoltre di norma la pratica sportiva si trasforma in esercizio di recupero psico-fisico e di ricerca del benessere.
Il Wu Shu, conosciuto in occidente come Kung Fu (o Gong Fu), è lo sport cinese che più mantiene vive le tradizioni del passato; lo si può far risalire al XXVII secolo a.C. Esso è basato su una concezione del movimento radicalmente diversa da quella occidentale.
Nella nostra cultura il movimento è concepito come prodotto della prestanza fisica e della forza muscolare, ritenendo che lo sport debba sviluppare soprattutto queste due componenti.
Nel Wu Shu si parte dal presupposto di dover utilizzare i propri sforzi per raggiungere il controllo completo dell’organismo. L’obiettivo principale non è l’accrescimento della propria forza, ma il raggiungimento della massima capacità di utilizzarla e dirigerla, in ultima analisi di controllarla. Riuscire in questo controllo significa scoprire di possedere una potenza fino ad allora insospettata ed insospettabile.
Il motivo principale della diffusione di questa tecnica non è determinato tanto dalla sua utilità nell’offesa o nell’autodifesa, ma dal beneficio che se ne trae in termini terapeutici. Il Wu Shu consente non soltanto di fortificare i muscoli e le ossa, come ogni esercizio ginnico, ma permette anche di regolare il sistema nervoso centrale, le funzioni cardiovascolari, digestive e respiratorie e, fattore molto importante, di stimolare le funzioni immunitarie, ritardando i processi di invecchiamento.
È suggestivo ricordare come, a differenza di ciò che accade in occidente, i più grandi maestri di arti marziali orientali siano delle persone molto anziane.
Il Tai Ji Quan o “boxe con le ombre”, è un esempio della modificazione vera e propria di una disciplina sportiva in ginnastica medica: nacque per motivi ludici e si è trasformato nel tempo in tecnica terapeutica.
Un difetto delle discipline sportive orientali consiste forse nella quasi costante mancanza di agonismo che le caratterizza. Siamo infatti dell’idea che l’agonismo rappresenti una molla importante per il miglioramento delle prestazioni sportive, tuttavia, non può e non deve essere considerato l’unico fine di queste attività.
La pratica sportiva deve essere un momento di riacquisizione della propria corporeità e dunque dell’inscindibile armonia interna che caratterizza l’uomo; l’agonismo rappresenta il mezzo attraverso cui viene stimolato questo recupero della propria integrità.
Il fine dell’attività sportiva deve essere il raggiungimento del completo controllo delle potenzialità dell’organismo; le tecniche sportive dovrebbero favorire il recupero del governo dell’ istintività dei propri movimenti.
La pratica dello sport deve quindi essere non solo un momento di evasione dal solito ritmo quotidiano, ma anche e soprattutto un metodo per recuperare la propria integrità psico-fisica, le proprie inespresse potenzialità, il proprio autocontrollo.
La differenza tra la concezione orientale e quella occidentale dello sport determina effetti estremamente interessanti sia dal punto di vista sociale e culturale che da quello medico e scientifico.
La medicina occidentale ha individuato ed approfondito, attraverso l’analisi del fenomeno sportivo, moltissimi dati estremamente interessanti del fenomeno salute-malattia dell’uomo. Basta pensare alla scoperta della riserva funzionale degli organi, visceri e tessuti che viene attivata e stimolata durante gli esercizi sportivi agonistici e non. Basta pensare agli studi sulla fisiologia della placca motrice indotti e stimolati dalla necessità di comprendere adeguatamente il fenomeno della contrazione muscolare. La nostra medicina ha scoperto anche il doping: una serie di metodiche (terapeutiche?) tendenti alla stimolazione delle potenzialità energetiche muscolari e psichiche, e perciò agonistiche. Si tratta di tecniche di attivazione di funzioni organiche; tali metodiche sono talora così esasperate da ripercuotersi negativamente sullo stesso individuo che tendono a stimolare in senso positivo.
Alla base dei fenomeni patologici indotti dal doping c’è quasi sempre lo stesso meccanismo: si agisce potentemente su un singolo organo, apparato o funzione senza tener conto degli effetti squilibranti che una stimolazione così specifica esercita a livello generale.
La medicina cinese propone un modello decisamente diverso di affronto del fenomeno sportivo il cui presupposto è che la migliore prestazione si ottiene potenziando la parte attraverso il tutto.
A ciò mirano gli esercizi di concentrazione sul Dan Tian: si tratta di quella porzione della regione sottombelicale che secondo la medicina cinese governa un’importante quota dell’energia dell’individuo.
Questo è lo scopo di molti esercizi di Qi Gong; una ginnastica medica la cui pratica è in grado di ridurre rilevantemente il consumo di ossigeno ed aumentare, di conseguenza, la riserva funzionale di tutti gli organi, visceri e tessuti.
Una seconda differenza riguarda quello che si potrebbe definire l’aspetto mentale o psichico della pratica sportiva.
In occidente si è tendenzialmente portati a sopravalutare l’aspetto fisico ed ad usare del mentale solo nella misura in cui ciò induce un diretto miglioramento fisico. A questo scopo viene infatti utilizzato il training autogeno prima delle competizioni.
In oriente non si è mai fatta una netta distinzione tra l’aspetto fisico e quello psichico della pratica sportiva; la miglior prestazione fisica è la conseguenza del massimo controllo mentale esercitabile. È inoltre tipico della medicina cinese considerare in estrema unità le funzioni fisiche e psichiche.
Sulla base di quanto affermato fino ad ora si può concludere che la cultura estremo-orientale ha molti interessanti suggerimenti da fornire all’occidente: alcuni di questi riguardano il fine stesso dell’attività sportiva, altri sono utilizzabili per ottenere un miglioramento delle prestazioni senza produrre effetti squilibranti. Questo secondo scopo può essere raggiunto attraverso l’adozione di tecniche specifiche della medicina cinese:
– le ginnastiche mediche: il Qi Gong ed il Tai Ji Quan;
– l’agopuntura, la moxibustione ed altri metodi di stimolazione degli agopunti;
– il massaggio cinese;
– la dietetica e la farmacoterapia.