Agopuntura e farmacologia cinese a Roma: ricordo di Riccardo Morandotti
Sono debitore a Riccardo Morandotti ed a Bruno Viggiani del mio primo contatto con la farmacologia cinese nei primi Anni ’80. Organizzammo un primo corso a Forlì che fu l’inizio del lungo cammino che mi portò a Londra, negli Stati Uniti ed infine in Cina per entusiasmarmi prima e poi studiare, imparare, approfondire questa splendida tecnica di terapia della medicina cinese.
Lucio Sotte
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Ringrazio Bruno Viggiani per questo ricordo di Riccardo Morandotti che ha voluto inviarmi per la rivista Olos e Logos: è un vero piacere pubblicarlo del mio sito.
Mancava poco più di una settimana all’alba del terzo millennio quando, in una stanza dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma, si spegneva Riccardo Morandotti; per lui si era avverata la nefanda profezia del “mille e non più mille”.
Anche per chi non li ha mai conosciuti, è facile ricordare un cantante scomparso vent’anni prima, basta riascoltarne le canzoni, o un poeta di cui possiamo rileggere le poesie, o un attore di cui possiamo rivedere i film e le commedie. È molto più difficile ricordare un medico che non si è conosciuto: ce ne sono così tanti di medici! Ricordarsi invece di Riccardo Morandotti è un privilegio, un onore, una gioia, è la consapevolezza che, senza di lui, il panorama dell’agopuntura italiana oggi non sarebbe quello attuale e tanti riconoscimenti non sarebbero stati conseguiti.
Fino a un mese prima della morte, Riccardo aveva continuato a lavorare, a insegnare, a partecipare alle riunioni della SIA e della FISA. La sua salute peggiorava a vista d’occhio, ma la passione, l’amore per la Medicina Cinese lo alimentavano e gli donavano le energie necessarie per andare avanti come se nulla fosse, ma intanto un male inesorabile, quello che ancora oggi medici e pazienti fanno fatica a chiamare per nome, cancro, lo stava divorando giorno dopo giorno; unica magra e amara consolazione fu quella che nessuno, lui compreso, sapeva la vera natura della sua malattia, che non gli ha lasciato scampo (la diagnosi fu fatta solo quindici giorni prima che morisse).
Pronunciare il nome di Riccardo a quelli che come me hanno i capelli bianchi evoca inevitabilmente una miriade di bei ricordi e un sentimento profondo di stima e di amicizia e subito riaffiora un sorriso nel ricordarlo, sorriso che però lascia spazio a un grande rimpianto per tutto quello che stava dando e ancora avrebbe potuto dare per anni e anni alla divulgazione e valorizzazione della Medicina Cinese.
Molti giovani colleghi agopuntori che mai l’hanno conosciuto, sicuramente ne hanno sentito parlare decine di volte dai colleghi più esperti che insieme a lui, hanno affrontato tante battaglie e tante, anche grazie a lui, hanno vinto.
Fare un curriculum professionale di Riccardo probabilmente comporterebbe lo spazio occupato dall’intero numero della Rivista e quindi ho scelto di ricordare solo i momenti salienti della sua attività che si è estrinsecata per venticinque anni.
Fiorentino purosangue di nascita, aveva mantenuto una ironia tipica dei toscani che riusciva a trasmettere agli altri quasi contagiandoli con le sue battute salaci, mai cattive, sempre costruttive.
Il suo scopo nella vita, la sua missione direi, fu quella di divulgare la Medicina Cinese nella maniera più corretta, intraprendendo a volte percorsi anche scomodi ma sempre rivolti a rendere scientifico un mondo professionale che, nella seconda metà degli anni settanta, quando insieme cominciammo lo studio di questa materia, era ancora ancorato ad un’alea di empirismo e per tale motivo assai poco considerato dai colleghi medici “occidentali“.
Aveva imparato l’Agopuntura alla So-Wen di Milano, allievo dei mitici Professori Garavaglia , Cantoni e Quaglia Senta che gli avevano instillato il sacro fuoco per la Medicina Cinese, sacro fuoco che Riccardo ha saputo coltivare e alimentare fino all’ultimo giorno di vita. Due giorni prima di andarsene per sempre, si preoccupava di sapere come era andata la lezione ad Urbino, dove io lo avevo sostituito: era la prima lezione della sua vita che non era riuscito a svolgere. E il primo impegno preso che non aveva potuto rispettare…!
Ricordo, negli anni settanta, le serate al Machiavelli di Roma, dove periodicamente ci riunivamo insieme ad uno sparuto gruppetto di medici innamorati dell’Agopuntura, per parlare degli argomenti che al tempo ci apparivano più ostici e per confrontarci sui casi clinici più spinosi da risolvere.
Ricordo i primi anni di lezione al Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina di Roma (era il 1982/1983) quando i colleghi ospedalieri, incrociandoci nell’atrio dell’Ospedale, sottovoce ma non tanto, fra loro commentavano “ecco gli stregoni…”.
Due anni dopo ci chiamavano nei loro reparti, o inviavano i loro malati nell’ambulatorio di Agopuntura dell’Ospedale per aiutarli nella gestione di qualche patologia che la sola “medicina occidentale” non riusciva a trattare adeguatamente; da stregoni eravamo ritornati a essere considerati veri medici!
I colleghi lo adoravano, i pazienti lo adoravano, per essi aveva sempre le parole e le terapie giuste per aiutarli a comprendere e risolvere i loro malanni.
Nel frattempo l’attività di Riccardo non si limitava certo alla Scuola di Medicina Cinese ma fu fondatore e Presidente dell’Associazione per lo studio della Farmacologia Cinese, animatore e per due volte Presidente della Società Italiana di Agopuntura, artefice fondamentale, insieme agli altri colleghi/amici di quegli anni (sono tanti e citarli tutti sarebbe complicato, provenienti dalla Lombardia, dal Piemonte, dal Veneto, dall’Emilia-Romagna, dalle Marche, dal Lazio, dalla Sicilia, solo per ricordare i gruppi più numerosi e rappresentativi) della Federazione Italiana delle Società di Agopuntura.
Scopo prioritario era quello di riunire sotto un’unica bandiera le varie Società di Agopuntura del tempo (tipica espressione della mentalità e abitudine nostrana a privilegiare l’individualismo nei confronti dell’associazionismo); era ed è lampante che la forza e l’energia dei molti consente una rappresentanza, soprattutto nei confronti delle Istituzioni, che i pochi, pur bravi e volenterosi, non possono avere.
Questi fondamenti erano il credo di Riccardo:
rendere scientifica una branca della Medicina (come dicono i Cinesi “una freccia in più per il tuo arco“) inizialmente considerata “alternativa” mentre oggi fortunatamente si parla di medicina “non convenzionale“ e si può insegnare a fronte alta anche in ambiti Universitari;
rendere comprensibile e chiara una Medicina nata in epoca remota e dimostrare, come spesso ha fatto, che, usando una terminologia attuale, la Medicina Cinese ha tutti i crismi dell’ufficialità e anche della modernità. Ricordo un suo meraviglioso intervento che chiamò “visione moderna dell’Agopuntura“ in cui riusciva a far capire facilmente e con termini attuali il meccanismo d’azione e le basi dell’agopuntura;
integrare la Medicina Cinese con tutte le altre branche della Medicina, esattamente come avevamo appreso avvenire negli Dipartimenti Cinesi di Medicina Tradizionale e rendere semplice un qualcosa che, a prima vista, poteva sembrare estremamente complicato (egli spesso ripeteva che è più conveniente “volare basso“ perché se si dovesse cadere, il male sarebbe minore…).
Nei nostri soggiorni negli Ospedali Cinesi di Medicina tradizionale, emergeva la sua infinita passione; dopo una giornata intera passata in Ospedale a Beijing, la sera si faceva la mezzanotte e oltre a discutere su un paziente, ad approfondire un argomento trattato durante la giornata, a ricercare sul Dizionario Ricci un ideogramma per meglio comprenderne il significato (una volta, per la traduzione e la ricerca del significato di un ideogramma impiegammo più di due ore…) e poi a dormire fino alle sei del mattino quando si ripartiva con entusiasmo per una nuova giornata di lavoro.
Ha scritto non molti libri, perché abbiamo insieme preferito spendere il nostro tempo per redigere pagine e pagine di dispense per gli studenti ed elaborare due programmi informatici per l’Agopuntura e per la Farmacologia Cinese, iniziative quest’ultime che erano assolutamente pionieristiche negli anni novanta.
Quante sere passate a casa di Riccardo, dopo le rispettive giornate di attività clinica e didattica a creare tutto ciò e questo avveniva senza stanchezza, perché si parlava della Medicina Cinese con la passione che lo ha sempre sostenuto e che ci ha sempre accomunato; semplicemente perché pensavamo che la divulgazione della conoscenza della materia e della nostra esperienza personale ai colleghi fosse prioritaria sul resto, ma allo stesso tempo ammiravamo anche tutti gli amici che riuscivano a produrre libri in gran quantità, libri che leggevamo con grande piacere e attenzione, perché è noto che il giorno che ci si sente arrivati, quando ritieni di non avere più nulla da imparare, è proprio quello il giorno in cui dovresti smettere di esercitare la professione.
Quando teneva una lezione, il suo intento era certamente quello di trasmettere il suo sapere ai suoi ascoltatori, ma anche e fondamentalmente quello di comunicare la sua passione per la materia e in questo diventava sicuramente “contagioso“: non ho mai visto durante le sue lezioni qualcuno sbadigliare, o guardare nervosamente l’orologio (anche quando si parlava ad esempio di argomenti non certo facili come le varie sindromi legate alle patologie degli organi e dei visceri…: ) in questo lo aiutava la sua ironia fiorentina, che gli permetteva di intercalare nella lezione battute e aneddoti che riuscivano a tenere sveglio l’auditorio anche durante i momenti più monotoni.
Ho pianto quel pomeriggio quando Riccardo si è spento. Ho pianto quella tristissima vigilia di Natale quando, sotto una pioggia sferzante, insieme alla moglie Marina, alla figlia Serenella e gli amici più cari, lo abbiamo accompagnato nel suo ultimo viaggio nel Cimitero Flaminio di Roma. Con la scomparsa di Riccardo, io avevo perso un immenso amico e fratello vero di oltre vent’anni, con il quale avevo condiviso lezioni, studio, scritti, viaggi in giro per l’Italia e in Cina senza mai una incomprensione e senza mai trovarci in disaccordo, un amico che ritrovo nei miei pensieri ogni volta che mi metto a scrivere qualcosa e ogni volta che assisto un paziente : in questi momenti mi tornano alla mente le nostre interminabili chiacchierate e mi sembra di sentirlo dire sorridendo: “dai, non fare bischerate e mettiti al lavoro con impegno”.
I colleghi mi perdoneranno se troveranno questo ricordo poco ufficiale e molto più personale, ma per me scindere le due cose è praticamente impossibile, essendo Riccardo parte integrante e inscindibile della mia persona; d’altronde trovare un curriculum professionale e riferimenti bibliografici della figura di Morandotti è impresa abbastanza facile e alla portata di tutti, mentre non tutti potrebbero sapere chi era veramente Morandotti Uomo, oltre tutto quello che egli ha fatto per la diffusione e la integrazione della Medicina Cinese nell’attuale ambito medico. E proprio dell’uomo oltre che del medico ho voluto descrivere le qualità straordinarie.
Alla fine di questo breve ricordo di Riccardo, sicuramente quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo non potranno trattenere un momento di commozione e rimpianto, ma io spero che anche quelli, tra noi più giovani, che non hanno avuto lo stesso privilegio e la stessa fortuna possano pensare: “che peccato non esserci stato, avrei voluto conoscerlo anch’io!“.